Miroslav Marsalek presta servizio al Centro d’Arte Contemporanea di Ginevra, dans l’equipe tecnique, per conto dell’hospice generale. Io l’ho incontrato qui, un paio di anni fa, nel 2012. Marsalek è persona di poche parole, appare e scompare con l’agilità di un gatto. Le poche notizie che circolano su di lui sono vaghe e frammentarie: di origine praghese, ha lavorato nella Repubblica Ceca come grafico per poi raggiungere la Svizzera alla fine degli anni Ottanta.
Lo scorso inverno mentre attraversavo la piazza di Plainpalais l’ho visto davanti ad un cavalletto, intento a dipingere con degli acquarelli. Mi sono avvicinato per cercare di vedere cosa stesse facendo. Ho cercato di capire se dipingesse spesso, se coltivasse una pratica d’artista. Lui –rispondendomi per monosillabi- mi ha fatto capire che prima o poi mi avrebbe portato qualcosa da vedere.
Qualche settimana dopo si presenta nel mio ufficio con una serie di “quaderni di viaggio” ed una cartella piena di disegni. Sfoglio velocemente questi carnet e scopro un universo convulso, un magma in perenne movimento di disegni e scrittura: frasi, volti, mani, si inseguono e si intrecciano nella pagina come un torrente in piena. Persone al bar, sull’autobus, in strada, gente che chiacchiera o che beve il caffè e poi annotazioni e disegni dedicati agli argomenti piu vari: dalla storia dell’arte alle ricette di cucina, dalle annotazioni autobiografiche alle citazioni di poeti e filosofi del XIX e XX secolo.
La prima cosa che salta all’occhio è la straordinaria qualità tecnica dei suoi schizzi e dei suoi appunti: Miroslav disegna come un artista del Rinascimento e scrive come un maestro calligrafo del Cinquecento. Si guardi ad esempio -nelle prime pagine di questo catalogo- l’inquietante gruppo di personaggi avvolti in carta di giornale, stretta al corpo con un sistema di piccole corde ben annodate. Si tratta di una serie di studi che Miroslav ha realizzato nel 2008 per poter dormire all’aperto a Ginevra di inverno, quando la temperatura puo’ raggiungere i meno 20 gradi. Disegnati da punti di vista differenti, questi personaggi senza volto sono difficilmente inquadrabili in un’epoca o in uno stile preciso: sembrano provenire da un mondo parallelo e senza tempo. Mi fanno pensare ai dipinti di Markus Schinwald, per trovare un riferimento contemporaneo, ma quelli cercano una originalità nell’iconografia, i disegni di Mirek al contrario sono studi il cui obiettivo è quello di evitare l’ipotermia e l’assideramento. Eppure questi semplici progetti posseggono una forza arcana e misteriosa, fanno venire in mente una sacra conversazione.
Come è possibile che un artista autodidatta come Miroslav sia in grado di disegnare in questo modo? Per quale ragione egli cita nei suoi appunti artisti e soprattutto filosofi senza aver avuto una formazione filosofica o banalmente accademica? L’opera di Miroslav, per la sua complessità di rimandi e per la sua imprevedibilità, si pone ai miechi occhi come una sorta di rebus. I quaderni sono all’incirca una decina ed ognuno rivela aspetti e qualità della sua pratica che lasciano in qualche modo esterrefatti.
Per esempio la sua abilità nel disegno non si limita allo studio anatomico o allo schizzo naturalistico ma spazia dalla caricatura al fumetto, toccando gli stati d’animo piu’ diversi: dal tragico al comico, dal malinconico all’assurdo. Sembra che il suo sguardo sul mondo sia alimentato da un gusto per il paradosso che lo rende accondiscendente verso l’umanità e al tempo stesso critico e tagliente verso le istituzioni umane. Mi viene da pensare che questo raffinato gusto per l’assurdo Miroslav lo abbia coltivato a Praga, sotto il regime Cecoslovacco, come strategia di resistenza passiva al pensiero unico di quel sistema di potere. Nei suoi diari tuttavia questa strategia di resistenza attraverso il registro dell’assurdo sembra applicarsi anche all’anarco capitalismo, al sistema dell’arte, all’alimentazione e alla stessa lingua francese.
In effetti Mirsolav resiste ma resiste a modo suo, vivendo da sempre ai margini: negli interstizi del comunismo, del capitalismo, della burocrazia, perfino della cultura che egli sembra trattare con confidenza e anche una raffinata forma di strafottenza. Mirek vive da piu’ di due decenni, per esempio, in una zona d’ombra di Ginevra, senza un vero statuto: non ha un lavoro, non è un artista, non ha cittadinanza. Questi sono aspetti della sua storia che possono aiutare a comprendere meglio la sua opera ma devono restare a margine, non ci possono e non ci devono interessare. Ognuno vive la propria vita e costruisce il proprio spazio di libertà come meglio crede. Quello che ci interessa invece è la sua pratica artistica. Come una sorta di Leonardo Da Vinci postmoderno e della strada, Miroslav utilizza il disegno come strumento di conoscenza empirica, continuando in questo senso una tradizione nata secoli fa e che pochi oggi sembrano in grado di praticare.
Dai taccuini emerge una vera consuetudine con la matita e con la penna: disegnare e scrivere come pratica quotidiana, come luogo del pensiero e appunto come gesto di difesa. I suoi quaderni abbondano di pagine dedicate allo studio del ritmo, della temporalità, della scala cromatica e della prospettiva. I suoi viaggi in autobus diventano diagrammi astratti, mentre il comportamento quotidiano diventa progetto estetico a lungo termine. Tra le serie dedicate all’automatismo dei gesti la piu’ importante è quella relativa al Brossage a dent. Mirek si lava i denti e contemporaneamente si fa un autoritratto allo specchio con la mano libera, una volta la destra e una volta la sinistra. Per ogni disegno una sigla: Bro (brossage), I (la serie), R oppure L (mano destra o sinistra). Il disegno come sfida, come problema tecnico, come luogo dell’avventura e poi – aspetto onnipresente nell’opera di Mirek – come gesto inutile e trascorribile. L’aspetto che definirei “raffinatamente corrosivo” dello sguardo dell’artista di Praga, va individuato proprio nella sua capacità di trasformare il sublime in una cosa da poco, oppure il nulla in una cosa sublime. Una pagina dopo l’altra, tra considerazioni dedicate agli hamburger, a Duchamp, alle vetrine dei negozi, ai vampiri, alla trasparenza delle uova, Miroslav cita –tra gli altri- Hegel, Marx, Wittgenstein, Kant e Diogene, come se con questi intrattenesse una conversazione interiore e continua.
Come inquadrare dunque l’attività di Miroslav? Siamo di fronte ad un artista troppo a lungo ignorato dal sistema dell’arte? Un artista che merita finalmente una carriera, una galleria, un mercato? Oppure egli rappresenta l’ennesimo caso, già fin troppo abusato nel XX secolo, dell’artista brut, della personalità patologica e impossibile? Forse il problema vero consiste nel fatto che Mirsolav non rientra in nessuna di queste categorie. Autodidatta eppure raffinato e colto disegnatore, egli è fondamentalmente un irregolare, o forse sarebbe meglio dire un “clandestino” dell’arte: non ci chiede di essere preso sul serio come artista e accetta implicitamente la dispersione e l’invisibilità di quanto produce. Nel suo caso il rapporto tra arte e vita è indissolubile, in questo senso il suo disegno puo’ essere visto come un’attività fondamentalmente performativa, comportamentale. I suoi diari e appunti di vita rappresentano un affascinante excursus che scardina, tra senso e nonsense, tra divagazione e peregrinazione, la parola stessa: la parola si disfa, si decompone in diagramma fino a sciogliersi nell’acqua. I suoi disegni e la sua scrittura non giungono mai a conclusione ma sanciscono un assoluto e sublime « nulla di fatto ». « Soprattutto alcuna originalità » scrive Miroslav, « tutti possono essere artisti, tranne me. »
Io credo che i suoi quaderni debbano essere studiati e che la sua attività meriti una vera attenzione da parte di chi si occupa di arte e creazione contemporanea. In questo senso la presente pubblicazione intende porsi come un primo contributo alla loro conoscenza di un’opera molto complessa e che sfugge alle facili categorizzazioni. Vorrei ringraziare Miroslav per avermi fatto partecipe, nonostante la sua naturale ritrosia, del suo mondo affascinante, e vorrei ringraziare anche Michael Jacob per avere scritto il saggio che pubblichiamo in questo catalogo.
Andrea Bellini, Ginevra, 2 luglio 2015